lunedì 12 novembre 2012

Chi ha paura del Sol Levante? 日本が怖いのは誰れ?


Chi ha paura del Sol Levante?        Michael Crichton       26 luglio 1992- Corriere della Sera

Chi ha paura del Sol Levante? il risorgente odio degli americani contro il Giappone: la sfida di fine secolo per la conquista del primato economico. yen contro dollaro, imperi rivali. e intanto rinasce l’ antico razzismo

PUBBLICATO - EST. OVEST .  STATI UNITI E GIAPPONE :   UN CLIMA DI GUERRA ANNUNCIATA

MA NON SOLO PER LA CONQUISTA DEL PRIMATO ECONOMICO TITOLO: 
Chi ha paura del Sol Levante? Yen contro dollaro, imperi rivali. E intanto rinascono gli antichi odi razziali  - - - - - - -
Il suo ultimo bestseller, "Sol Levante", e' da mesi in testa alle classifiche Usa: racconta la storia di misteriosi delitti sullo sfondo di una Los Angeles oramai dominata dai signori dello yen. Michael Crichton, cinquant' anni, non e' nuovo a questi successi: da "Andromeda" a "Congo" a "Jurassic Park" (in Italia tutti pubblicati da Garzanti, "Sol Levante" compreso), ogni suo libro e' un trionfo mondiale. Con l' ultimo romanzo e' andato a scoprire il risorgente odio degli americani contro il Giappone, troppo ricco e invadente. Sul tema di questa sfida di fine secolo (a quasi cinquant' anni da Hiroshima e Nagasaki), ha scritto l' articolo che pubblichiamo. Sembra essersi ormai diffusa l' idea che i rapporti tra Stati Uniti e Giappone si stiano deteriorando. Bush si e' recato a Tokio con un gruppo di dirigenti del settore automobilistico, che sono tornati in patria rumorosamente scontenti. 

All' udire le critiche di Miyazawa e di Sakurauchi, gli americani si sono subito inalberati. I giornali hanno condannato "l' aumento di una retorica incendiaria". La "Japan Society" di New York ha tenuto una serie di conferenze a causa "del crescente tono aspro nelle relazioni commerciali" tra i due paesi. Il mio stesso romanzo "Sol Levante" e' stato considerato da molti come un' ulteriore dimostrazione dell' acredine nei rapporti Stati Uniti.Giappone. Credo pero' che stia effettivamente avvenendo il contrario. I nuovi scambi commerciali piu' franchi segnano semplicemente una transizione verso un miglioramento. Dunque, secondo me, non stiamo assistendo ad una rottura, ma alla normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti ed Giappone. 
Gli Stati Uniti non obiettano a proposito della gestione giapponese dei diritti umani. Non si rilevano differenze militari con il Giappone. Non esistono differenze irriconciliabili dal punto di vista religioso o sulla concezione del mondo. Esiste pero' una serie di controversie relative alle pratiche commerciali. E' forse questo un buon motivo per allarmarci? 
Le due nazioni piu' industrializzate a livello mondiale intrattengono rapporti cosi' numerosi che le controversie sono un fenomeno inevitabile. Sarebbe del resto del tutto anormale se non ci fossero controversie in assoluto. Controversie commerciali ci sono state anche tra Stati Uniti e Canada. Da entrambe le parti, i giornali hanno pubblicato articoli, e lettere all' editore in cui venivano criticati senza mezzi termini gli accordi appena firmati. Semplici lavoratori hanno espresso le loro opinioni, cosi' come gli economisti e i politici si sono scambiati insulti senza risparmiare colpi. Si tratta ormai di un fenomeno talmente diffuso, che difficilmente allarma o preoccupa. Nessuno pero' teme che questi aspri rapporti commerciali . notevolmente peggiorati rispetto ad una decina di anni fa . preannuncino un' effettiva rottura tra Stati Uniti e Canada. La politica commerciale e' talmente complessa che lavoratori, dirigenti, accademici, giornalisti e politici hanno il sacrosanto diritto di esprimere liberamente la loro opinione, facendo pero' riferimento a sfaccettature diverse del problema. Succede sempre cosi' sia negli Stati Uniti che in altri paesi a proposito delle controversie commerciali.

 Solo nel caso del Giappone, le controversie commerciali sono state gestite in modo diverso.

 Ecco perche' quando Quayle si e' recato a Tokio per ricevere il plauso da Miyazawa, nessuno negli Stati Uniti si e' sentito sollevato. Il fatto stesso che il vice presidente degli Stati Uniti abbia attaccato i suo stessi conterranei per il loro comportamento nei confronti del Giappone e' apparso del tutto anormale. Non perche' inopportuno, ma semplicemente perche' superfluo. Se il Giappone avesse sentito la necessita' di difendersi dagli attacchi americani, avrebbe sicuramente potuto ottenere ottimi risultati anche senza l' aiuto di Quayle. I ministri giapponesi e gli ambasciatori in America sono sufficientemente incisivi ed informati. Ma l' attacco di Quayle nei confronti dei suoi stessi conterranei evidenzia una caratteristica importante dei rapporti Stati Uniti.Giappone, che non puo' essere apertamente discussa, per lo meno negli Stati Uniti. Nel dopoguerra, si e' sempre aspramente criticato il Giappone. I critici del Giappone sono stati addirittura soprannominati "contestatori" e qualsiasi critica contro il Giappone e' sempre stata definita pregiudizievole. Con l' andar del tempo questo atteggiamento ha provocato una situazione unica

A differenza delle opinioni espresse negli Stati Uniti su moltissimi altri paesi . come il Canada, l' Italia, Taiwan o la Cina . non esistono mezzi termini nel caso del Giappone: 
ammirazione o demolizione totale, senza sfumature. Naturalmente questa situazione e' intellettualmente assurda. E' ovvio che queste due grandi nazioni industriali, con un' intrecciata storia di guerra e pace e un commercio cosi' vario e complicato possano evocare opinioni diverse tra i rispettivi abitanti. Ci si aspetterebbe pero' di veder stampate queste critiche nero su bianco. Ma in America questo non puo' accadere poiche' qualsiasi critica viene definita razzista. En passant si potrebbe notare che negli Stati Uniti l' accusa di razzismo e' una critica molto efficace. Non ci sono molte altre accuse di cui si puo' essere tacciati. Coloro che si sono avventurati a parlare del Giappone hanno imparato subito la lezione, a loro spese e ci penseranno bene in futuro prima di aprire la bocca. 

Il Giappone era un di quegli argomenti che si devono tacere e di cui non si poteva parlare. Non e' possibile rendere la connotazione inglese del termine "unspeakable" nella lingua giapponese. Il primo significato del termine sembra fare riferimento a qualcosa di orribile: non si osa parlare di qualcosa per paura di suscitare orrore. Tale termine ha anche lo strano significato di qualcosa di esecrabile, che e' meglio non descrivere. 

Nonostante cio' , gli americani hanno cominciato pian piano a parlare ed a scrivere a proposito del Giappone. Tre circostanze hanno permesso di rompere il proverbiale silenzio americano. La prima e' rappresentata dal continuo lento declino del paese, ormai troppo evidente anche per l' americano medio. Abbiamo dovuto cominciare a chiederci che cosa stavamo sbagliando come nazione e che cosa gli altri paesi stessero facendo meglio di noi. La burocrazia e le relazioni commerciali giapponesi sono ben diverse da quelle americane. E' per questo che il Giappone e' servito come termine di paragone all' inizio dell' indagine: avremmo forse dovuto comportarci diversamente? Avremmo dovuto forse assomigliare di piu' al Giappone?

 Che cosa avrebbe significato tutto questo per noi? Che cosa avremmo perso? In America queste discussioni continueranno per anni ed anni, forse anche decenni. Saranno accompagnate da informazioni piu' specifiche sulla storia dei rapporti Stati Uniti.Giappone, sul comportamento del nostro governo e cosi' via. La seconda coincidenza e' rappresentata dalla fine della guerra fredda. Le alleanze sono considerate in modo diverso. A tal punto che il Governo americano probabilmente in passato e' stato indotto a garantire particolari concessioni al Giappone in base a motivi strategici e queste concessioni ora potrebbero non solo non essere piu' necessarie ma nemmeno valide. I nostri rapporti commerciali con il Giappone ma anche con molti altri paesi sono stati rianalizzati. E sembra inevitabile che anche il Giappone senta la necessita' di rivalutare i suoi rapporti con noi . come nel caso di tutti gli altri paesi con cui intratteniamo rapporti commerciali.

 La terza circostanza e' rappresentata dalla crescente sensazione tra gli americani che il governo non sia sensibile alle loro preoccupazioni. Tre quarti degli americani per anni hanno chiesto il controllo degli armamenti, la riforma dell' assistenza pubblica e sanitaria, ma non hanno ottenuto alcuna risposta positiva. Sta ormai facendosi strada l' idea che il governo faccia unicamente l' interesse di qualcuno, americano o straniero che sia. Ed anche il Giappone e' nell' occhio del ciclone, ma cio' che e' visibile e' solo la punta dell' iceberg. Poiche' la discussione in merito al Giappone si e' fatta recentemente piu' dura, ci sono stati attacchi piu' frequenti contro il Giappone. Ma ora si parla di attacchi o critiche contro l' America, contro i gay, contro i maschi, contro le Olimpiadi, contro Bush ed addirittura contro Hilary. Il termine si e' ormai talmente diffuso da aver totalmente perso la connotazione di critica specifica riferita esclusivamente al Giappone. E naturalmente gli attacchi contro il Giappone stanno piano piano perdendo qualsiasi connotazione razzista, poiche' si tratta ormai semplicemente di una dura critica. 

Ma poiche' le discussioni sul Giappone aumentano negli Stati Uniti ed addirittura anche alcuni portavoce giapponesi osano ora esprimere le loro critiche sull' America, e' ormai preoccupazione diffusa che i rapporti commerciali Stati Uniti.Giappone stiano peggiorando . quasi che i sorrisetti sui volti dei politici e degli uomini d' affari siano un augurio in tal senso. Ma non ci sono ragioni particolari perche' effettivamente le cose debbano degenerare in questo modo. Torniamo un attimo indietro e chiediamoci: qual e' la paura nascosta che impedisce un dibattito piu' aperto ed animato in America? I commentatori cosi' preoccupati non hanno mai spiegato poiche' sviano il discorso. Di che cosa abbiamo paura? Abbiamo paura dell' insorgenza del protezionismo da una parte o dall' altra? Qualsiasi uomo d' affari giapponese o americano vi spieghera' che e' sempre esistita una rete complessa di barriere commerciali formali e informali tra i nostri due paesi. Queste barriere potranno migliorare o peggiorare. Ma in qualsiasi caso, non sono nuove. Si ha forse paura che con tutte queste lamentele, i cittadini medi di entrambi i paesi prima o poi cominceranno a disprezzarsi gli uni con gli altri? E' improbabile che questo possa succedere. Anche se i sondaggi di opinioni mostrano che il giapponese e l' americano medio sono poco informati sui numeri effettivi, dovremmo ricordarci che le nostre due culture sono costantemente e reciprocamente affascinate l' una dall' altra. Come altrimenti spiegare la mania americana per Shogun e sushi oppure la mania giapponese per i Levis e gli hamburger?

Il fascino che esercitiamo reciprocamente gli uni sugli altri puo' essere considerato un buon incentivo per sentimenti positivi (quali l' ammirazione) verso l' altro paese. Credo che rimarremo sempre affascinati ed attratti dal Giappone anche se i nostri politici si lamentano e avanzano le loro aspre critiche. Abbiamo forse paura di un' effettiva rottura tra Stati Uniti e Giappone? I nostri due paesi interromperanno forse i loro rapporti commerciali? I nostri diplomatici torneranno forse a casa? Se si considera l' economia cosi' interdipendente tra i due paesi, non credo che questa rottura potra' mai verificarsi, poiche' e' da scongiurarsi da entrambe le parti. Allora forse abbiamo paura che i nostri due paesi entrino in guerra? Gli americani sicuramente non lo pensano, anche se i sondaggi di opinione indicano che gli americani considerano i rapporti commerciali con il Giappone tra le cinque priorita' piu' importanti. Il libro intitolato "The Coming War with Japan" non ha avuto molto successo. Nessuno crede che una tale possibilita' possa avverarsi per ora. Pero' il problema rimane: qual e' la paura nascosta che impedisce una discussione aperta e franca?

 Io penso che sia quella stessa paura che caratterizza tutti gli argomenti di cui non bisogna parlare. Dopo tanti anni, gli americani non osano parlare del Giappone semplicemente per paura di spiacevoli conseguenze, di cui non si osa parlare, per cui indefinite. Si tratta semplicemente di un controsenso superstizioso. 

Naturalmente, le controversie commerciali fanno paura. Il nostro paese e' diventato indipendente a seguito di un contenzioso commerciale con l' Inghilterra. Ma visto che gli Stati Uniti stanno cominciando a trattare il Giappone con la stessa apertura mentale e franchezza con cui trattano tutti gli altri partner commerciali, come il Canada . poiche' le relazioni si sono normalizzate . sembra che il potere distruttivo delle controversie commerciali si stia affievolendo, accompagnato da un aumento delle potenzialita' per rapporti commerciali costruttivi e sani. Credo, infine, che la maggior parte degli americani debba ritenersi soddisfatta di aver udito i commenti di Miyazawa e di Sakurauchi. Sono stati duri da accettare e dolorosi e chiaramente hanno provocato la giusta agitazione in merito, permettendo cosi' di chiarire molte opinioni e false credenze da entrambe le parti. Non hanno arrecato pero' alcun danno insanabile. Allo stesso modo ritengo che le critiche americane nei confronti del Giappone non avranno conseguenze negative, ne' qui ne' in Giappone. Potrebbero semplicemente inaugurare una nuova fase dolorosa dei nostri rapporti commerciali con il Giappone. Ma si tratta in ultima analisi di una fase di crescita e credo che, con buona volonta' , buon umore e buon senso, riusciremo ad instaurare ottimi rapporti commerciali, duraturi, di cui beneficeranno tutti i cittadini delle nostre due nazioni. Abbiamo assistito e nutrito i rapporti commerciali tra Stati Uniti e Giappone per decenni ormai. 

E' necessario avere fiducia: tale rapporto e' sufficientemente forte, consolidato e collaudato da riuscire a sopportare qualche critica, per poter costruire poi un futuro piu' roseo, proficuo e duraturo.

 Michael Crichton

1992, New Perspectives Quarterly, distribuito da Los Angeles Times Syndicate  
Pagina 7  (26 luglio 1992) - Corriere della Sera